Dobbiamo immaginare una sorta di forza centripeta che agisce vorticosamente in “La vita immaginata” (Lamantica Edizioni, 113 pagine in un volumetto elegante, con postfazione di Massimo Morasso) e che costringe il lettore a fare i conti con l’immane tragedia della pandemia mettendo in discussione presente e futuro, identità e azione collettiva.
Giovanni Peli, poeta, musicista, librettista ed editore illuminato, fondatore nel 2015 di una piccola e raffinata casa editrice bresciana che ha già all’attivo una ventina di titoli, intinge l’inchiostro nel magma eruttivo di un tempo mefitico (seppur parte dell’opera nasca precedentemente alla ‘chiusura’ per essere poi riadattata) ove la speranza sembra erosa da granitiche certezze di una sofferenza senza fine, ma che pure a sprazzi lascia spazio per la visione di un oltre, di un altrove magari immaginato ed evocato dal gioco di bimbo. In questo prosimetro sui generis che miscela con acume versi e narrazione in una composizione complessiva priva di fronzoli Peli sussume su di sé, in qualche misura, la cifra di un’umanità ferita, incerta e in disequilibrio, “spiata” attraverso i parcheggi urbani, scorta nel “rumore continuo della vita” di cassoliana memoria, sogguardata mentre compie le azioni quotidiane rese vieppiù monotone e ingombranti in menti segnate dalla scabrosa noia.
“Il pensiero inquina”, si legge, e non consente di tergiversare troppo nell’illusoria convinzione che, in fondo, la poesia possa concretamente sorgere su un humus sì fertile d’ispirazione, ma violentato dal dolore. L’infinitesimale piccolo si fa largo nella coscienza: vorremmo diventare così minuscoli “da camminare nel vaso” ad “esplorare il terreno molliccio”. Nel fragore delle sirene del soccorso così percussive nella nostra mente, si perde il senso del dove e del quando inibendo pure quel dono di scrittura che abbisogna di un “tempo vuoto dove non batte il cuore”.
L’autore non rinuncia, in una sincerità mai ammansita né caricaturale, a sterzare verso i territori della responsabilità: il suo prosare tagliente stigmatizza il flusso di informazioni distorte veicolate dai social, spesso cloache senza fondo di opinioni intellettualmente disoneste e pericolose. Densissima di contenuto e in apparenza sganciata dal resto dell’opera è la sezione “Voci dal fondo”, una sorta di divagazione sulla voce, i sensi, la parola. Peli ci conduce in un’immersione nell’oggi e allo stesso tempo in un’esistenza sbrecciata “che non è diventata un poema epico”: e però quanto grumo espressivo sobbolle e viene dispiegato tra le pagine in questo pregevole volumetto che, come tutti quelli di Lamantica Edizioni, è finemente stampato su carta azzurra in esemplari numerati e limitati, una vera chicca per bibliofili. A dominare il finale che archivia le precedenti quattro parti, quasi una sorta di tambureggiante approdo verso un futuro distopico caratterizzato dalla distanza fisica tra gli individui, è il nero dell’oscurità, tragedia e al tempo stesso consolazione irrazionale per tutti, appurato che il navigare nei lidi del tempo si fa vieppiù periglioso istante dopo istante.
Su Lamantica Edizioni uscirà prossimamente nel blog “Brescia si legge” un’ampia intervista sui successi raggiunti e gli obiettivi futuri di questa piccola ed originale realtà culturale della nostra provincia.